lunedì 5 novembre 2018

Bella mia di Donatella Di Pietrantonio

Dopo aver apprezzato L’Arminuta ho letto questo romanzo precedentemente scritto da Donatella Di Pietrantonio tre anni dopo il terremoto a L’Aquila. Ed. Einaudi



Lo consiglio vivamente, ben scritto, intenso, Non è facile parlare di questo libro senza rivelare parti importanti della trama e togliere il piacere  di immergersi pian piano nella storia, vivere le difficoltà e le fragilità dei personaggi. Il forte terremoto del 6 Aprile  2009 ha arrecato forti ferite alla città e alla gente che ha dovuto fare i conti con la perdita della casa e in certi casi di cari e amici.

E’ ciò che succede alla protagonista e io narrante di questo romanzo quando la sorella gemella, quella bella forte e fortunata, rimane vittima del terremoto . Il figlio Marco viene affidato in un primo tempo al padre, che però non sa come occuparsene e poi a lei e  alla madre anziana, trasferite nelle C.A.S.E. provvisorie del dopo-sisma. Da allora il tempo trascorre in un lento e difficile  processo di adattamento alla nuova situazione e  alla nuova forzata  convivenza . Tutti devono affrontare il presente  e fare i conti col proprio passato e con i ricordi. Il terremoto in pochi secondi ha seminato morte e macerie , cancellato l’intimità della gente coinvolta e  sconvolto la quotidianità.
Bella mia parla dell’amore perduto, ma anche di quello ritrovato che rinasce dalle macerie. Parla del tema della ricostruzione : materiale quella di una città offesa  e danneggiata , morale quella della gente  e dei protagonisti del libro che lottano per  dimenticare il dolore ,  ricominciare a vivere nuovi affetti e  allacciare nuove relazioni .

Ottima l’analisi psicologica dei personaggi; Caterina  ha perso la sua gemella da sempre suo supporto e modello e  di colpo si trova a fare da madre ad un ragazzo  adolescente, lei che madre non ha mai voluto essere; Marco, il nipote adolescente , è scostante e difficile  come solo gli adolescenti sanno essere , incapace di parlare con la zia , la nonna e  il padre della  sua tristezza e rabbia per avere perso tutto ,trova un amico nel cane Bric anche lui sopravvissuto al terremoto; il  padre,  che abita a Roma con la sua nuova compagna  , non riesce ad affrontare la nuova emergenza e conferma l’assenza affettiva .

Una nuova vita sta formandosi nel ventre di una vicina, metafora di una ripresa e una speranza di rinascita.

giovedì 1 novembre 2018

Trilogy by Kent Haruf: Crepuscolo e Benedizione

È ad Holt, una immaginaria cittadina del Colorado, non lontano da Denver, che Kent Haruf ambienta la “Trilogia della pianura”.
Pubblicata in Italia da NNeditore, la casa editrice ha scelto di presentare i testi al suo pubblico partendo da Benedizione – testo che, cronologicamente, sarebbe all’ultimo posto. Definita dall’autore stesso una trilogia slegata – loose trilogy – può quindi essere letta nell’ordine che ciascun lettore preferisce.
Io personalmente ho iniziato  la lettura con IL CANTO DELLA PIANURA/PLAINSONG di cui vi ho già parlato per proseguire con CREPUSCOLO/EVENTIDE  E BENEDIZIONEBENEDICTION di cui vi parlerò ora. Ho letto tutta la trilogia in lingua originale ,edita da Pan Macmillian , ma mi hanno detto che la traduzione di Fabio Cremonesi per NN editore sia molto efficace.
Dopo Il Canto Della Pianura, KENT HARUF continua a raccontare la vita di provincia degli abitanti della piccola Holt, trasformando la quotidianità in qualcosa di speciale. Una vita che continua, con inaspettati colpi di scena, anche nel secondo volume: CREPUSCOLO /
È trascorso qualche anno nella piccola comunità di Holt. Victoria ha dato alla luce luna bella bambina  ed è arrivato per lei il momento di riprendere in mano la propria esistenza decidendo di trasferirsi a Fort Collins e  iscriversi all’università, mantenendo i contatti con i fratelli McPheron che l’hanno accolta e salvata.
Ritroviamo il professor Guthrie assieme a Maggie Jones e facciamo la conoscenza di nuove e varie umanità: il piccolo DJ che vive con il nonno di cui si prende cura; Mary Wells e le sue due bambine, Dena ed Emma; infine Betty e Luther Wallace che, insieme ai figli sono costretti a vivere in una roulotte e vengono seguiti da un’assistente sociale.
Il lettore è felice di tornare ad Holt e ancora una volta si affeziona ai personaggi   e non puoi smettere di leggere e preoccuparsi per loro.
La tecnica cinematografica di Haruf, che si comporta come un invisibile cameraman, ci fa vivere direttamente i luoghi, le vicende ; l’uso sapiente della parola rende straordinarie vite comuni di una piccola comunità e umanità
Haruf usa il linguaggio dei suoi personaggi, diretto, semplice e il tutto sembra una ballata americana di cui avverti anche il ritmo e la musicalità.  E’ il ritratto di una comunità vera e autentica, fatta di persone ignoranti e intelligenti, rudi e gentili, fragili e riservate, confuse nella loro malinconia e solitudine.
Nel terzo libro della trilogia tutto si svolge nell’ultima estate di Dad Lewis ( è chiamato cosi dalla nascita di sua figlia) intorno al quale si riuniscono parenti, conoscenti e vicini . Di tutti scopriremo le paure, i segreti , le emozioni, i rimpianti e capiremo quanto sia  necessario, prima o poi, dover fare i conti con il proprio passato, la propria esistenza e le proprie azioni. Una vita che se ne va funge da Benedizione e riunisce tutta la gente in un nuovo rapporto di affetto e amicizia e aiuto reciproco.
Incontriamo Lorraine, figlia di Dad e Mary, che, trasferitasi a Denver, torna ad Holt per assistere i genitori, aiutata anche dalla vicina Berta May, la quale vive con la nipotina Alice, orfana di madre; Willa e Alena Johnson, madre e figlia che vivono da sole in un picco ranche, le cui giornate si intrecciano con quelle di Alice e Lorraine; infine il reverendo Lyle, da poco giunto in paese da Denver dove è stato cacciato dalla propria congregazione.
Alla fine della trilogia il messaggio che ci lascia Haruf è quello di speranza e fiducia nell’uomo, un messaggio necessario  in questa epoca di cinismo, individualismo e cattiveria .