martedì 24 febbraio 2015

E ora parliamo di Kevin

E ora parliamo di Kevin ( We need to talk about Kevin) è un romanzo di Lionel Shriver edito da Piemme (2006).
la storia ci viene raccontata attraverso le lettere che Eva Katchadourian , donna newyorkese  di successo, scrive al marito assente.Eva cerca di analizzare gli episodi e le situazioni e ad interrogarsi sulle motivazioni che possono aver portato suo figlio sedicenne a commettere un massacro nella sua scuola.
Ogni altro elemento della trama sarebbe uno spoiler perchè le lettere creano un crescendo nel coinvolgimento emotivo dando mano a mano gli elementi necessari a ricomporre il puzzle fino al pugno nello stomaco finale.
Lo stile è ricercato, ricco, potente e penetrante e la storia diventa sempre più  angosciante.Una storia terribile che fa riflettere sulla cattiveria umana, sulle colpe dei genitori, della società, della scuola, perfino dei vicini.
Non si prova simpatia per nessuno dei personaggi, nè per Kevin e per sua madre, ma neanche per il padre, troppo ottimista e superficiale, e per la sorella , troppo fragile.Ognuno ha  i suoi difetti e le sue colpe.
Eppure non riesco ad odiare la madre, una donna vera reale nel suo rapporto ambivalente con la maternità,  lontana dallo stereotipo che vuole ogni donna geneticamente pronta a sacrificare la sua vita per avere un figlio, obbedendo ad un richiamo naturale. E' lucida nella sua analisi ma anche pronta ad ammettere le sue colpe  nel rapporto ostile che ha con il figlio.
E ora parliamo di kevin ha vinto L'Orange Prize e ha venduto milioni di copie.Pensare che , finito nel 2001, venne rifiutato da tante case editrici prima di trovare un piccolo editore coraggioso.
Dal libro è stato tratto un film della regista Lynne Ramsey (2011) con John C. Reilly, Tilda Swinton, Ezra Miller.

Lionel Shriver è giornalista e scrittrice. Scrive per importanti testate, come The Guardian, The New York Times, The Wall street Journey. Con Tutta un'altra vita è stata finalista all'edizione 2010 del National Book  Award, il più prestigioso premio letterario americano. Vive a Londra.




.

sabato 7 febbraio 2015

Il Signore delle Mosche vs Lost


Il naufragio e l'isola deserta misteriosa richiamano alla mente una metafora esistenziale, un punto di partenza da cui ripartire. Molti sono i romanzi che partono da questa situazione. Qual'è il primo istinto? Sopravvivere in attesa di essere soccorsi. Se poi si scopre di non essere soli come Robinson Crusoe, cercare di organizzare il gruppo, costituendo una nuova società.
E' quello che succede ai naufraghi della serie televisiva" Lost" e  ai ragazzini del romanzo di William Golding " Il Signore delle Mosche".
Ho letto il romanzo recentemente e ho così scoperto tante somiglianze con la serie televisiva citata. Intanto in entrambi c'è un aereo che precipita in un isola deserta. Lo zoom è subito su un protagonista che diventerà il capo ( Jack nella fiction e Ralph nel libro). Poi si scoprono mano a mano gli altri naufraghi. Nella fiction i naufraghi credono di vedere un fumo nero che assume delle forme , che li segue e li terrorizza, nel libro i ragazzi credono di essere inseguiti da un misterioso animale, una sorta di entità che poi si rivelerà un paracadutista su un albero. ( anche nella fiction c'è una scena in cui un piccolo velivolo viene scoperto intrappolato su un albero).E' la metafora delle paure ancestrali.
In entrambe le opere la maggiore forma di sostentamento è la caccia  e, ancora, c'è chi finisce di uccidere un compagno.
E' ovvio che gli sceneggiatori della fortunata serie televisiva si siano ispirati al libro di Golding, ricreando la stessa atmosfera inquietante che dimostra ancora una volta che gli uomini non sono capaci di creare una società perfetta, nemmeno in una isola paradisiaca. Il bene e il male, l'innocenza e la corruzione, la razionalità e la violenza sono le caratteristiche dell'uomo a qualsiasi età e la brutalità insita nell'uomo aspetta solo il momento e la circostanza per venire fuori.
Il romanziere inglese, vincitore del premio Nobel, sembra negare la teoria roussoniana, per cui l'uomo nasce buono ed è la società a rovinarlo. La sua è una visione pessimistica dell'uomo.Anche i bambini, simbolo dell'innocenza, si comportano alla stessa stregua degli adulti, si lasciano trascinare dalla smania di sopraffare l'altro, senza rispetto delle regole della democrazia. E la vittima di ciò è proprio Piggy, la parte razionale e intellettuale del gruppo,che sarà ucciso per il trionfo della brutalità e degli istinti animaleschi;  non riesce a prendere la conchiglia, simbolo della democrazia,  che verrà abbandonata in favore dell'anarchia. Piggy è il saggio che non riesce a parlare e perde gli occhiali, come ad indicare che ad un certo punto non si riesce più a vedere la realtà delle cose e ad avere il controllo su esse. Jack si contende con Ralph il titolo di capo e cerca con la sua banda di giovani pittati come guerrieri di imporre le loro leggi di cacciatori al seguito di un ripugnante totem, il Signore delle Mosche, formato dalla testa di una scrofa uccisa e impalata. I gruppi si separeranno, dalla caccia agli animali si passerà allo scontro umano fino a degenerare nel caos e alla perdita dell'innocenza.
Mi sono chiesta perché non ci sia presenza femminile nel gruppo e perché il primo maiale ucciso barbaramente sia stato proprio una scrofa, compromettendo anche il cibo futuro. Forse è proprio questa la ragione, gli uomini sono condannati a non avere futuro.